Dalla shoa a Nostra Aetate, sino allo stato di Israele
● Il nuovo rapporto tra giudaismo e cristianesimo, secondo Nathan Ben
Horim (Nuovi orizzonti tra ebrei e cristiani, Padova, Messaggero,
2011), ex ministro all’Ambasciata d’Israele in Italia incaricato dei
rapporti con la S. Sede dal 1980 al 1986, è dovuto «a tre eventi: la
shoah[1], la nascita dello Stato d’Israele e il concilio Vaticano II»
(ibidem, p. 11).
Infatti la shoah impone riflessioni storiche, politiche
e morali di enorme portata, alle quali nessuno – nemmeno la Chiesa –
può sottrarsi.
Dalla shoah (1942-45) è nato lo Stato d’Israele (1948),
che ha soprattutto un significato etnico ed anche normativo-religioso
per l’ebraismo.
Da queste riflessioni storiche, morali, politiche,
etnico-religiose (dacché il giudaismo è un popolo o stirpe che si
riconosce in una certa pratica etica o religiosità[2]) è nato il
concilio Vaticano II (1962-65), che «segna una svolta epocale nella
storia della Chiesa cattolica[3]. […] Uno dei mutamenti più
significativi del Concilio ha riguardato il rapporto con gli ebrei, […]
“che rimangono ancora carissimi a Dio”» (ivi).
● Il diplomatico israeliano ammette che «il cambiamento, nella
visione cristiana degli ebrei, non sarebbe mai avvenuto se non ci
fossero state la shoah e la nascita dello Stato d’Israele» (ibidem, p.
12). Egli definisce il giudaismo col trinomio “Torah, Popolo, Terra”
(ib., p. 107).
Poi cita il maître à penser di Giovanni Paolo II e
Benedetto XVI, Martin Buber: “Terra e Popolo, predestinati l’una
all’altro per realizzare assieme il regno del Signore in questo mondo”
(ib., p. 108).
Il diplomatico israeliano ci spiega che i maestri del
Talmud cercarono subito dopo la distruzione del Tempio di salvare
Israele affermando che “la residenza in Terra d’Israele equivale
all’osservanza di tutti i comandamenti della Torah: chi vi risiede ha
parte al mondo futuro [che non è l’aldilà, ma questo mondo
nell’avvenire], chi la lascia somiglia a chi non ha Dio” (ib., p. 111).
● Il problema del Concilio è sostanzialmente legato alla
giudaizzazione del cristianesimo (Nostra aetate, 28 ottobre 1965) ed è
indissolubilmente legato a quello della shoah e del sionismo.
Chi non
vuole ammetterlo o è incapace di vedere la realtà o non vuole
ammetterla, poiché non gli fa comodo. Dopo Nostra aetate sono venuti
altri Documenti post-conciliari sui rapporti ebraismo-cristianesimo.
Il
primo è Orientamenti e suggerimenti per l’applicazione della
Dichiarazione ‘Nostra aetate’ n. 4 (1° dicembre 1974)- estratto.
Esso è assai
significativo ed esplicita la Dichiarazione Nostra aetate.
Infatti gli
Orientamenti esortano a studiare l’ebraismo post-biblico a partire da
come gli ebrei odierni si auto-definiscono, ossia secondo la letteratura
talmudica e post-biblica (ibid., p. 14).
Inoltre gli Orientamenti
esplicitano, dopo circa 8 anni, l’affermazione conciliare – ancora molto
sfumata ed imprecisa – secondo cui l’Alleanza tra Dio e popolo ebraico
“permane” (ivi) e da essa i Sussidi per una corretta presentazione degli
ebrei e dell’ebraismo (26 giugno 1985), dopo altri 10 anni, esplicitano
la portata non solamente spirituale o religiosa dell’ebraismo attuale,
ma soprattutto “etnico-religioso-culturale, con una sua storia legata ad
una Terra precisa” (ib., p. 15) ossia “la questione della Terra e dello
Stato d’Israele” (ib., p. 44), la quale ha portato, 8 anni dopo, al
Concordato della S. Sede con Israele (30 dicembre 1993, iniziato
formalmente e giuridicamente il 29 luglio 1992[4]), che “era la
conclusione logica del cammino cominciato circa trent’anni prima con
Nostra aetate, n. 4” (ib., p. 44).
In breve l’ebraismo attuale è
l’appartenenza etnica ad un popolo, schiatta o “razza”, che può o meno
comportare una certa religiosità o meglio moralità o pratica spirituale,
ma che ha come elemento principale ed essenziale il legame di sangue
tra ebrei e storico-geografico con la Terra Santa, poi Palestina ed oggi
Stato d’Israele. Questo è l’ebraismo odierno e post-biblico.
Per cui
non si può parlare di esso riferendosi solo all’aspetto religioso, che è
del tutto contingente nel giudaismo (può esservi o no, non modifica
essenzialmente, ma solo accidentalmente, l’ebraismo), ma bisogna mettere
in luce l’unità etnica o razziale e il legame che tale popolo pretende
di avere ancora oggi dopo 2000 anni con la Terra dei propri padri, la
Terra Santa, la Giudea, poi Syria-Palestina ed oggi Stato d’Israele.
«Trattandosi di ebraismo è praticamente impossibile tracciare una
separazione netta e assoluta fra il livello interreligioso e quello dei
rapporti politici con lo Stato d’Israele» (ib., p. 43).
● Chiedere il “beneficio di un ragionevole dubbio” sul piano di
sterminio di sei milioni di ebrei europei tramite camere a gas e forni
crematori da parte del III Reich germanico, chiedere delle prove
chimico-fisiche, archivistiche su di esso (senza negarlo
aprioristicamente), significa ipso facto bestemmiare, mettere in
discussione la realtà dello Stato di Israele ed il cambiamento
rivoluzionario della teologia sull’ebraismo come è stata esposta da
Nostra aetate.
Il “caso Williamson” è incomprensibile se non si conosce
l’ebraismo post-cristiano o post-biblico nella sua interezza: un popolo
che ha una Terra datagli da Dio in perpetuo. È incomprensibile se non lo
si legge alla luce del “caso Krah” (v. articolo su Krah apparso in
questo sito), analogo a quello tentato da Jules Isaac con Bea e Roncalli
prima dell’inizio del Vaticano II.
Quindi il popolo ebraico è il solo e
legittimo padrone della Palestina, è ancora in “Alleanza “ con Dio, non
è stato sostituito dal cristianesimo. Se per 2000 anni ha abbandonato
la Palestina, tuttavia ha mantenuto il diritto di proprietà su di essa,
datogli in eredità perpetua e inalienabile da Dio e l’avvenimento che
gli ha fatto prendere coscienza di ciò è stata la shoah, la quale ha
mutato anche la mentalità dei cristiani ed ha portato a Nostra aetate,
che verrebbe meno qualora cadesse il mito dell’olocausto e dello Stato
d’Israele come regno perpetuo del popolo ebraico.
● Accettare il Concilio (alla luce della Tradizione o meno, purché lo
si accetti, è in fondo una questione pratico-pratica, ultimamente priva
di spessore dottrinale[5]), tuttavia equivale ad accettare l’Alleanza
permanente tra Dio e l’ebraismo odierno, l’unicità etnico-razziale del
popolo ebraico (per cui si è ebreo solo se si è figli di madre ebrea e
nipoti di nonna materna ebrea[6] e non se si pratica la religiosità
ebraica), lo Stato d’Israele (che implicitamente vorrebbe smentire la
profezia di Cristo sulla distruzione del Regno d’Israele[7]) ed
accettare l’evento che ha fatto prendere coscienza di tutto ciò sia agli
ebrei, che si stavano assimilando nel XVIII secolo coll’Illuminismo al
mondo cristiano o laico europeo, sia ai cristiani che si erano separati
dalla “Sinagoga di satana” (Apoc., II, 9) coll’insegnamento del Nuovo
Testamento, interpretato unanimemente dai Padri ecclesiastici e dal
Magistero costante della Chiesa sino a Pio XII[8].
L’ebraismo, attuale
“Padrone di questo mondo” domanda a tutti di riconoscere la shoah, la
permanenza della sua Alleanza con Dio e il diritto di dominio sulla
Terra Santa (1900 a. C. con Abramo sino alla distruzione del Tempio 70
d. C.), poi (dal 70 al 1948) Syria-Palestina, che oggi (dal 15 maggio
1948) viene ingiustamente chiamata Stato d’Israele.
● L’ambasciatore Ben Horim racchiude in un sillogismo
l’inconciliabilità tra dottrina cattolica tradizionale e quella
pastorale del Vaticano II. «L’esilio dopo la distruzione di Gerusalemme
era stato interpretato dal cristianesimo come il castigo e la prova del
rigetto. Il ritorno a Sion costituiva […] una provocazione per la
teologia cristiana […].
Ora, Nostra aetate, cancellando l’accusa di
deicidio e affermando la validità perenne delle promesse di Dio [Antica
Alleanza] con le sue implicazioni, dovrebbe avere rimosso
definitivamente l’ostacolo teologico. Quindi, la promessa della Terra
[d’Israele] e il ricongiungimento del popolo [ebraico] con essa non
dovrebbero essere escluse» (ib., p. 67).
● È per questo che parlando di ebraismo bisogna tenere presente
l’elemento etnico, di “sangue e suolo”, di un popolo che possiede in
perpetuo una Terra, che è in perpetua Alleanza con “Dio” (anche se non
ci crede, infatti il sionismo è un movimento laicista ed agnostico o
a-religioso se non addirittura ateo). I cristiani hanno ribaltato la
loro visione pre-conciliare dell’ebraismo, che aveva rifiutato Cristo
Messia e Dio e che era stato abbandonato da Dio, il quale aveva eretto
una Nuova ed Eterna Alleanza con tutti (pagani ed ebrei fedeli a
Cristo).
Per cui il giudaismo era stato scacciato dalla sua Patria,
distrutta nel 70 e rasa totalmente al suolo nel 135 da Roma. Questa
rivoluzione per diamentrum dei rapporti ebraico-cristiani è stata
iniziata dal concilio Vaticano II con Nostra aetate (28 ottobre 1965) ed
è approdata 28 anni dopo al riconoscimento dello Stato d’Israele da
parte di papa Giovanni Paolo II (30 dicembre 1993), alla luce della
shoah (1943-45). Shoah, Alleanza permanente di Dio col popolo d’Israele e
Stato ebraico formano un tutt’uno, se si toglie uno solo di questi tre
tasselli si nega tutto l’ebraismo attuale, nel suo desiderio di dominio
del mondo, quale popolo eletto, “regale e sacerdotale”,
“olocaustizzato”, ma “risorto” e “padrone di questo mondo” assieme alla
sua creatura: l’americanismo[9], che gli ha dato la potenza bellica per
terrorizzare chiunque osi “dubitare”.
● L’ebraismo si auto-presenta in primo luogo come popolo, poi come
Stato e tutto ciò alla luce della shoah, che gli ha fatto ritrovare la
sua identità, la quale stava per essere smarrita con l’assimilazione
durante l’Illuminismo.
Il Vaticano II e il post-concilio (Orientamenti,
1° dicembre 1974; Sussidi, 26 giugno 1985; Concordato tra S. Sede e
Israele, 30 dicembre 1993) hanno recepito la lezione del rabbinismo
farisaico e scomunicano chiunque metta in forse anche uno solo di questi
tre “dogmi laici” (v. “caso Williamson”, che non è stato capito in
tutta la sua potenziale gravità e pericolosità religiosa, politica,
sociale e “terroristico-penale”). Quindi accettare il concilio Vaticano
II (anche alla luce della Tradizione, che non è quella apostolica, la
quale lo condanna, ma quella falsa, spuria ed infera di Lucifero e del
serpente dell’Eden), significa accettare il giudaismo talmudico, che è
la contraddizione del cristianesimo fondato da Gesù su Pietro (unità e
Trinità di Dio, divinità di Cristo, Nuova ed eterna Alleanza con tutti i
popoli che credono in Gesù vero Dio e vero uomo e nella SS. Trinità,
che ha rimpiazzato la Vecchia Alleanza perfezionandola nel Sangue di
Cristo).
● Horim stesso riporta la convinzione che quasi tutti i cristiani
hanno, ma che nessuno osa dire, mentre è espressa esplicitamente dai
“Fratelli maggiori”: «La dottrina tradizionale [è un dogma di Fede]
extra Ecclesiam nulla salus è in contrasto con il discorso del papa
[Giovanni Paolo II] agli ‘esperti cattolici per l’ebraismo’, nel quale
parlava della possibilità per ebrei e cristiani di raggiungere per vie
diverse, ma finalmente convergenti [le “convergenze parallele” di Aldo
Moro], una vera fraternità della riconciliazione» (ib., p. 59). Ecco qui
smentita autorevolmente l’ermeneutica della continuità dai nostri
“Fratelli maggiori nella Fede” (Giovanni Paolo II, 1986) o “Padri nella
Fede” (Benedetto XVI, 2011).
Egli poi cita la frase di Giovanni Paolo
II a Magonza nel 1980 sull’«Antica Alleanza mai revocata» e conclude che
“tali parole implicherebbero la coesistenza di due Alleanze valide”
(ib., p. 60). Ma allora il Figlio a che pro si è Incarnato ed è morto in
Croce per la salvezza di tutti gli uomini e non solo di una razza, se
vi è un’Alleanza ancora in piedi che garantisce la salvezza di chi ne fa
parte?
● È interessante – per concludere – quanto dice l’Autore sulla
reciprocità dei rapporti ecumenici ebraico cristiani. Vale a dire: se il
cristianesimo si è giudaizzato, col Vaticano II, anche l’ebraismo
dovrebbe cristianizzarsi (p. 76). Egli risponde nettamente che
l’argomento vale solo a senso unico, ossia per i cristiani verso
l’ebraismo, mentre non è assolutamente applicabile per gli ebrei verso
il cristianesimo.
Infatti
1°) il cristianesimo ha fatto soffrire il giudaismo sino alla shoah,
mentre mai il giudaismo ha perseguitato il cristianesimo. Al che si
risponde facilmente citando i Vangeli e gli Atti degli Apostoli, i quali
rivelano divinamente la persecuzione continua del giudaismo contro
Gesù, gli Apostoli e i primi Discepoli cristiani. Inoltre la storia ha
dimostrato ampiamente che le persecuzioni attuate dalla Roma pagana
contro i cristiani vennero aizzate dal giudaismo (v. Umberto Benigni [+
1934], Marta Sordi [+ 2010] ed Ilaria Ramelli, autori citati in articoli
comparsi su questo sito).
2°) Il cristianesimo è nato dal giudaismo, mentre il giudaismo non
deve nulla al cristianesimo. Anche qui la risposta è sin troppo
semplice. Il cristianesimo è nato da Dio Padre, Figlio e Spirito Santo,
che hanno decretato ab aeterno l’Incarnazione del Verbo nel seno della
Vergine Maria. Ciò è rivelato nell’Antico Testamento (dalla Genesi sino
ai Maccabei). Per cui l’Antico Testamento era tutto relativo al Nuovo
Testamento e a Gesù Cristo.
Onde Mosè e i Profeti annunziarono Cristo
venturo, che fu rigettato dal ‘falso Israele’ ed accolto dal ‘vero
Israele’, ossia da coloro che fedeli allo spirito dell’Antico Testamento
hanno accolto il Messia Gesù Cristo venuto, una “piccola reliquia
d’Israele” (San Paolo) alla quale si è unito il resto del genere umano
(i Pagani). Il giudaismo attuale è il ‘falso Israele’ fedele alla
lettera della Torah, ora la “lettera uccide mentre è lo spirito che
vivifica” (San Paolo).
Quindi il cristianesimo non ha ricevuto nulla di
positivo dal giudaismo post-biblico o attuale, mentre il giudaismo
mosaico o vetero-testamentario è relativo ed ordinato totalmente al
cristianesimo senza il quale non ha ragion d’essere. Per cui il
giudaismo odierno si trova oggettivamente in uno stato di errore e di
accecamento, avendo rifiutato il Messia e l’Unico Salvatore del mondo e
deve convertirsi a Cristo.
La posizione giudaico-cristiana (sia da parte
del Vaticano II, sia da parte ebraico-talmudica) è completamente
capovolta e distorta, in rottura per diametrum e non in continuità con
le ‘Fonti della Rivelazione’.
Ma l’Autore persevera nell’indurimento di
cuore e nell’accecamento della mente dei suoi antenati, asserendo: «Non
c’è nell’ebraismo alcun elemento costitutivo della sua natura, che esiga
un confronto col cristianesimo. […]. Pertanto attese cristiane riguardo
la possibilità di cambiamenti teologici significativi nell’ebraismo
saranno inevitabilmente deluse» (ib., p. 77). L’invocazione “Il suo
Sangue ricada su di noi e sui nostri figli” continua a riecheggiare
sulla bocca degli ebre talmudisti.
● Recentemente un caso pratico di ‘monologo’ analogo è scoppiato il 7
luglio del 2011 tra il card. Kurt Koch e il rabbino Riccardo Di Segni.
Infatti il cardinale aveva scritto su L’Osservatore Romano (7 luglio
2011) che «La Croce di Gesù è il permanente ed universale Yom Kippur […]
per ebrei e cristiani». Ma siccome già l’8 ottobre 2008 il rabbino Di
Segni su L’Osservatore Romano aveva spiegato che la festa dello Yom
Kippur [perdono] ebraico esprime le “differenze inconciliabili tra i due
mondi” ebraico e cristiano e che l’ebraismo avendo il Kippur “non ha
bisogno della salvezza dal peccato proposta dalla Fede cristiana”, ha
risposto di nuovo sempre su L’Osservatore Romano al cardinal Koch il 29
luglio 2011: “Se i termini del discorso sono quelli di indicare agli
ebrei il cammino della croce, non si capisce il perché di un dialogo e
il perché di Assisi”[10].
Il cardinale allora ha rispolverato la
neo-dottrina conciliare scrivendo che per il cristianesimo «L’Alleanza
di Dio con il popolo d’Israele ha una validità permanente e [anche] la
fede nella redenzione universale in Gesù Cristo». Quel che non si riesce
a capire è come Gesù possa essere Salvatore universale se l’ebraismo
permane in Alleanza con Dio. Clericalmente e rabbinicamente si potrebbe
dire che Gesù è Salvatore di tutti… i non-ebrei.
● Il problema di Cristo e del cristianesimo per l’ebraismo non
esiste. Non è un ‘dialogo’ (discorso tra due parti), ma un ‘monologo’
del solo Israele, che vorrebbe indottrinare sub specie boni il
cristianesimo e vi riesce con gli attuali prelati postconciliari,
accecati ed induriti di cuore.
Questo è un “mistero d’iniquità”. È
l’analogo rischio che corre il mondo tradizionalista attuale nel
“dialogo” col neo-modernismo, il quale si risolve in un ‘monologo’ sotto
apparenza di bontà e dolcezza facendolo passare abilmente per
‘dialogo’, ma col fine di assorbimento e di cedimento
dell’antimodernismo alle novità conciliari e post-conciliari. È
rivelatrice la frase di Ben Horim quando scrive: «Non è la questione
della verità [che conta], ma se c’è un pathos comune [un sentimento, una
passione]. La questione suprema è se siamo vivi o morti alle
aspettative del ‘Dio vivente’. […]. Spetta a noi, ebrei e cristiani,
lasciando alle spalle conflitti e rivalità, affrontare assieme le sfide
del nostro tempo» (ib., p. 78).
● Il 16 settembre 2011 – secondo il rabbino Levi Brackman – alcuni
gruppi ebraici specialmente statunitensi (Abraham Foxman Direttore
dell’ADL del B’nai B’rith e il rabbino David Rosen dell’American Jewish
Committee) “hanno espresso la loro preoccupazione che il Vaticano
potrebbe rimettere in discussione 40 anni di progressi nelle relazioni
ebraico-cattoliche”[11].
Essi quindi avvertono che Nostra aetate, 4 e
Lumen gentium, 16 (“i doni di Dio [Antica Alleanza] sono irrevocabili”)
“non possono essere messi in discussione e lasciati al libero
dibattito”. Se così non fosse il dialogo ebraico-cristiano cesserebbe.
Dubito seriamente che Benedetto XVI sia tentato di rivedere 40 anni di
teologia giudaizzante, della quale è stato un pioniere sin da giovane
studente tedesco toccato dalla “tragedia abissale” della shoah. Questo
lo ha sempre chiaramente detto, scritto ed anche fatto (nei vari
incontri ecumenici nella sinagoghe del mondo). Spero che da parte del
mondo legato alla Tradizione non si voglia capitolare su tutto. Tuttavia
la premessa pro-shoah del 2009 ed anti-revisionista (durante il “caso
Williamson) lascia qualche perplessità, poiché shoah, sionismo e Nostra
aetate fanno un tutt’uno. Parvus error in principio magnus est in fine?
Speriamo di no, almeno in questo caso. Sarebbe veramente una
“catastrofe” (in ebraico “shoah”).
● Agire assieme, conoscersi da vicino, interloquire è la stessa
vecchia tattica del neo-comunismo verso i ‘cristiani adulti’, che li
faceva agire assieme ad esso, per renderli simili a sé. Agere seguitur
esse, si agisce come si è. Ora se agisco assieme al comunismo, parto da
una posizione tendenzialmente simile ad esso e pian piano divengo
inevitabilmente eguale ad esso; se agisco assieme al giudaismo odierno,
poco alla volta giudaizzo e – Dio non voglia – se agisco assieme al
neo-modernismo, immancabilmente divengo neo-modernista, prima almeno
praticamente (i ‘neo-modernisti anonimi’) e poi anche speculativamente.
Il primato della prassi sulla teoresi è un caposaldo del talmudismo, del
comunismo e del modernismo. Caveamus! Latet in erba anguis. “Bisogna
agire come si pensa, altrimenti si giunge a pensare come si agisce”.
d. CURZIO NITOGLIA
24 settembre 2011
http://www.doncurzionitoglia.com/shoah_nostra_aetate_israele.htm
[1] «Senza l’avvelenamento degli spiriti cristiani attraverso i
secoli, l’Olocausto sarebbe stato impensabile» (Nathan Ben Horim, Nuovi
orizzonti…, p. 51). Come si vede la shoah per l’ebraismo odierno ha una
valenza teologica ben precisa, essa è figlia della dottrina cattolica
rivelata e definita da San Pietro sino a Pio XII. Accettarla significa
rinnegare implicitamente la dottrina cattolica di Tradizione apostolica.
[2] «Una fede religiosa legata ad una Terra specifica» (Nathan Ben Horim, Nuovi orizzonti…, p. 70).
[3] L’Autore parla addirittura di «carattere rivoluzionario
dell’inversione di rotta [di Nostra aetate, n. 4]» (Nathan Ben Horim,
Nuovi orizzonti…, p. 73).
[4] Giovanni Paolo II nella ‘Lettera apostolica’ Redemptionis anno
del Venerdì Santo dell’aprile 1984 ha nominato esplicitamente e
formalmente primo tra tutti i Pontefici “lo Stato d’Israele” cfr Nathan
Ben Horim, Nuovi orizzonti…, p. 92.
[5] Mons. Brunero Gherardini ha cercato con vari libri di alto
spessore teologico di porre il problema dottrinale se vi sia, realmente e
non solo verbalmente, continuità tra insegnamento pastorale del
concilio Vaticano II e la Tradizione apostolica. Cfr. B. Gherardini
Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare, Frigento, Casa
Mariana Editrice, 2009; Id., Tradidi quod et accepi. La Tradizione, vita
e giovinezza della Chiesa, Frigento, Casa Mariana Editrice, 2010;
Id.,Concilio Vaticano II. Il discorso mancato, Torino, Lindau, 2011;
Id., Quaecumque dixero vobis. Parola di Dio e Tradizione a confronto con
la storia e la teologia, Torino, Lindau, 2011. .Ma alcuni ‘portaborse’ o
‘faccendieri’ del mondo ecclesiale hanno ridotto il tutto ad uno
scambio pratico-pratico di merci, un do ut des.
[6] “Mater semper certa, pater numquam”, spiegava l’ex rabbino capo
di Roma Elio Toaff. (E. Toaff, Essere ebreo, Milano, Bompiani, 1997).
[7] La quale rimane in piedi in tutto il suo vigore, poiché Israele
non ha più il Tempio, il Sacerdozio e non è un Regno pacifico, ma si
trova da 50 anni in una guerra cruenta ed interminabile, che non riesce a
vincere malgrado la sproporzione degli armamenti, coi Palestinesi
(cristiani ed islamici), i quali abitano da 2000 anni la Terra Santa.
Attenzione! non bisogna dimenticarlo vi sono Palestinesi cristiani e
cattolici-romani. Palestinese non è sinonimo di musulmano.
[8] «L’ultimo Concilio della Chiesa che si era occupato dell’ebraismo
fu quello di Basilea nel 1431. Questo Concilio decretò il divieto per
gli ebrei di avere contatti con i cristiani, essi dovevano essere
esclusi dai pubblici uffici, costretti a portare un segno distintivo
sulle vesti […]. Istituito da Concilio Lateranense IV nel 1215» (Nathan
Ben Horim, Nuovi orizzonti…, p. 50 e 52). L’ultima Enciclica pontificia
che ha parlato di deicidio del popolo ebraico è la Mit brennender Sorge
di Pio XI (14 marzo 1937), la quale insegna formalmente che “Il Verbo
avrebbe preso carne da un popolo che poi Lo avrebbe confitto in Croce”.
Ora, a partire da queste citazioni di due Concili dogmatici e del
Magistero ordinario e autentico pontificio, che coprono un lasso di
tempo di duecento (1215-1431) ed altri cinquecento anni (1431-1937) di
insegnamento ininterrotto. Dove sia la “ermeneutica della continuità”
tra Magistero tradizionale e quello pastorale del Vaticano II non si
riesce a capire. Essa è un ente puramente logico, che esiste solo nella
mente dei “neomodernisti & neoconservatori” e non è un ente reale,
che esiste nella realtà oggettiva ed extra mentale. Tale ermeneutica è
simile all’Araba fenice, “che vi sia ognun lo dice, dove sia nessun lo
sa!”.
[9] «In ambito ‘cristiano’ non cattolico, esiste un robusto filone
‘sionistico’ che propone una lettura teologica dello Stato d’Israele. A
quest’ambito vanno ascritti alcuni movimento protestanti americani, non
privi d’influsso sulla vita politica statunitense durante la presidenza
Bush jr. in particolare, ci si riferisce al ‘Dispensazionalismo’
evangelico, che predilige l’Alleanza terrena [di Dio] con Israele più di
quella spirituale con la Chiesa, e, prospetta il compimento letterale
delle promesse davidiche a favore d’Israele» (Nathan Ben Horim, Nuovi
orizzonti…, cit., p. 22). Si noti come i teoconservatori italiani
(specialmente “Alleanza Cattolica” e “Lepanto Foundation” – maestri in
“entrismo” – pilotati dalla ‘TFP’ brasiliana, stiano cercando di
infiltrare le dottrine teoconservatrici, filo-sioniste e americaniste in
ambienti tradizionali, che sino ad oggi hanno saputo resistere al
flagello del neo-modernismo, per portarli al compromesso con la “cloaca
di tutte le eresie”, come San Pio X definì il modernismo nell’Enciclica
Pascendi dell’8 settembre 1907.
[10] Si moltiplicano affannosi dibattiti per quadrare il cerchio e
spiegare che Assisi III non è in rottura con la Tradizione apostolica.
Viva la faccia della sincerità da parte ebraica; invece i cristiani son
dovuti diventare “falsi” per “conciliare l’inconciliabile”. Nefas est ab
hinimicis discere veritatem! È chiaro che l’ebraismo non vede Assisi
III in un’ottica di apostolato missionario, ma sincretisticamente e
tutto ciò è confermato dall’insegnamento conciliare e post-conciliare
sui rapporti tra cristianesimo ed ebraismo. De ore tuo te judico serve
nequam!
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