Globalizzazione e mondialismo






Globalizzazione e mondialismo

Parole dall'aspetto complicato, dal suono sinistro ed affascinante al tempo stesso.

Ma, in parole povere, cosa saranno mai questi due "mostri" di fine millennio?

Una domanda che si rende necessaria alla luce di un processo di trasformazione mondiale tanto subdolo quanto inarrestabile.

L'esempio più semplice che si può fare riguardo a queste due espressioni di potere e controllo è quello di un mondo simile a quello descritto da Orwell nel suo celeberrimo 1984.

In quel caso era una sola persona di padrone del mondo, il Grande Fratello, nel caso specifico della globalizzazione e del mondialismo i padroni del pianeta sarebbero una trentina, in grado di gestire, attraverso l'economia e la marginalizzazione delle identità e delle rivendicazioni, i destini dell'umanità.

Ma cerchiamo di entrare un minimo nello specifico, valutando punto per punto, strategie e impatto della politica di globalizzazione.

La leva economica è chiaramente il motore della politica di globalizzazione.

Il potere finanziario è detenuto da un numero sempre minori di soggetti, capaci di provocare - attraverso spostamenti di denaro e titoli azionari - i destini di interi popoli.

L'esempio della Russia è fin troppo evidente e drammatico: in poche ore i grandi speculatori del capitale mondiale, Soros in testa, hanno guadagnato migliaia di miliardi attraverso operazioni finanziarie che sono state pagate dall'intera popolazione russa.

Ovvero, da quei milioni di diseredati esclusi dal processo di arricchimento mafioso seguito alla conversione dal socialismo reale al capitalismo selvaggio.

E questo vale per il Brasile, il Messico, il sud est asiatico.

La gestione del potere economico si basa fondamentalmente sulla monetizzazione indotta, ovvero sull'eliminazione dell'oro come unità di scambio e garanzie per le divise valutarie nazionali a favore del monopolio cartaceo del dollaro.

Un processo che ha trovato la propria consacrazione dopo il crollo del Muro di Berlino, quando la Russia smise di essere una superpotenza racchiusa in se stessa e divenne protagonista (o comparsa, a dire il vero) dello scacchiere capitalista internazionale.

La logica che voleva le riserve auree come titolo di garanzia della moneta, ad esempio il rublo, e difesa dalle speculazioni crollò sotto il peso del potentato finanziario statunitense.

Che, ad oggi, è in grado di risolvere i propri problemi finanziari attraverso svalutazioni e operazioni speculative basate sulla propria moneta: che, però, vanno ad intervenire direttamente sul futuro degli altri popoli.

Al raggiungimento di questo scopo gioca un ruolo fondamentale il FMI (Fondo Monetario Internazionale) e la sua politica di strangolamento delle economie attraverso applicazioni deviate delle logiche di debito e credito.

FMI, BANCA MONDIALE, WTO sono le istituzioni che governano l'economia mondiale.

Ovunque si vada, in Africa, America latina e in Asia Meridionale (e sempre più nei cosiddetti paesi ex socialisti) la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale sono conosciuti come nemici del popolo.

A Port au Prince (Haiti) un graffito urla 'FMI=AIDS', in Nigeria i prestiti della BM e del FMI sono stati definiti 'pillole letali' dalla stampa e nelle dimostrazioni.

La ragione di tale odio è evidente: queste istituzioni hanno pianificato genocidi, espropriazioni di massa delle terre e il ritorno della schiavitù in molte aree del pianeta".

Un altro caposaldo della politica di globalizzazione è la massificazione culturale, ovvero l'imposizione del modello unico come deterrente alle istanze dal basso ed alle rivendicazioni specifiche.

L'idea che il mondo pensi, agisca, consumi e muoia tutto allo stesso modo (quello scelto e gradito dai grandi "manovratori") è di fatto un disegno di normalizzazione studiato a tavolino e messo in atto attraverso l'imposizione di modelli massificanti e innocui.

I mezzi di comunicazione giocano una parte fondamentale in questa logica, filtrando in serie messaggi codificati e pronto uso.

I modelli americani che ci impone la Tv non sono soltanto icone sociologiche, ma veri e propri modelli a cui, di fatto, dobbiamo tendere in nome del progresso.

Un mondo di zombie in serie, di parassiti incapaci di reagire, schiacciati sotto il peso dell'ineluttabilità del destino.

Ma, quel che è peggio, sottomessi in maniera consapevole, quasi entusiastica poiché tutto ciò che ci è messo a disposizione rappresenta, in una visione distorta e semplicistica del termine, l'avvenire, il progresso.

Non importa che da Mosca ci arrivino immagini di uomini morti assiderati o di fame fuori dalle scintillanti vetrine di McDonald's: l'importante è che a Mosca ci sia Mc Donald's, che la globalizzazione del cibo faccia da volano a quella delle abitudini e del pensiero.

Nomi, etichette, slogan: tutto in serie, tutto codificato e testato scientificamente dalla fabbrica della "lobotomia sociale".

La logica è cambiata, la finalità no: un tempo si usava la "repressione morbida", ora l'accettazione acritica.

Ovvero, gli indiani furono sterminati attraverso l'alcool, i Black Muslims di Malcolm X attraverso la droga: noi, annegati in fiumi di Coca Cola e ingozzati di Big Mac.

Sembra ridicolo, ma è drammaticamente così.

All'interno del processo di massificazione mondialista gioca un ruolo fondamentale la miseria strutturale.

Ovvero, la logica di lasciare 4/5 del pianeta a dividersi il 20 per cento delle risorse e un 1/5 del mondo pronto ad ingozzarsi l'80 per cento.

Il mantenimento dell'ignoranza e dell'arretratezza culturale in molti paesi è di fatto una leva di fondamentale importanza per due motivi: la ricattabilità totale, visto che i "signori del mondo" sfruttano le risorse naturali dei paesi arretrati (diamanti, minerali, petrolio, ecc..) ed il business non solo economico dell'immigrazione selvaggia.

Attraverso questa, infatti, si garantiscono introiti sicuri alle organizzazioni criminali del trasporto di clandestini, che poi riciclano il denaro attraverso finanziarie e istituti off-shore "rispettabilissimi", e si dà ulteriore impulso al processo di distruzione identitaria dei popoli attraverso le invasioni di immigrati nell'impianto sociale.

Tra le poche certezze che definiscono il nostro senso della vita c'è il sicuro convincimento che la "società" multietnica rappresenti il capitolo terminale della storia dei popoli.

Nella indistinzione delle molteplici etnie che vengono riversate sull'Italia e sull'Europa, risulterà infatti progressivamente smarrita la differenza tra i popoli che ne costituiscono l'essenza: quel complesso irripetibile di qualità che rendono visibile e riconoscibile l'appartenenza, e da cui prende forma l'impianto del carattere individuale in sintonia con la cultura etnica di ciascuno.

Quest'ultimo elemento genera la differenza, senza la quale gli attributi del singolo verrebbero ridotti ad uno soltanto: la quantità.

I più sviano di fronte all'imbarazzo di doversi porre la questione sulle proprie origini etniche, dal momento che il nostro 'stampo' sembra ridotto ad un incubo da rimuovere, un peso da scrollarsi di dosso, una colpa da espiare.

Colpevoli di non essere kurdi o kossovari, ancora più colpevoli di non essere asiatici o africani, puniamo chi di noi rivendichi un'appartenenza ad una delle nostre comunità euro-occidentali.

Il parlare della nostra necessaria appartenenza di natura e di cultura genera dunque un sentimento, se non altro, di 'rimorso': di disagio, di imbarazzo; ci ricorda un tempo in cui, nella dinamica della nostra storia, tutte le azioni erano riprovevoli, le idee false, le guerre ingiuste...

Adesso che le idee sono tutte corrette, è tempo di guerre giuste e di azioni lodevoli...

E si comprende meglio la smorfia implorante perdono che contrae il viso di un europeo odierno quando gli viene ricordato di 'essere un bianco: è solo un caso se sono nato in Italia nel XX secolo.

Invece, sarebbe non un caso, ma la suprema delle colpe, se non condividessi la ricchezza che ingiustamente possiedo con qualsiasi straniero che intenda stanziarsi nella 'mia' terra.

Come non riflettere, quindi, sull'azzeramento della natalità nelle comunità etniche della Penisola, che si manifesta quale conseguenza non di un normale processo di riequilibrio, ma di un desiderio diffuso di non-essere più?

Un pragmatismo assurdo induce taluni a ritenere questo fenomeno della morte di un popolo non un evento terribile, ma un fatto meccanico di ordinaria sostituzione di esseri individuali, fungibili nel tempo e nello spazio.

Un'ipotesi che verrebbe rigettata come forma latente di genocidio, se fatta valere presso altre etnie, è invece valutata addirittura come l'unica possibilità, in Italia, per fronteggiare la scarsa natalità.

Fa da sfondo a questa aberrante idea l'accelerazione dei mutamenti economici, dai quali si determinano, nell'attuale contesto, quelli sociali.

Processi irreversibili che conducono allo sfiguramento delle nazioni per rendere più velocemente disponibile una forza-lavoro flessibile e a basso costo.

Si avverte chiaramente quanto risulti artificiale la sostituzione di un popolo ad un altro, e come, nonostante l'innaturalità di questo progetto, molti lo accettino in beata incoscienza, vittime delle sostanze ideologiche 'psicotrope' diffuse dal mondialismo.

Dovremmo accettare il mercato globale, il villaggio globale, la "società" multietnica... ma da dove nasce questo nuovo "imperativo categorico"?

La nostra risposta è: dalla mentalità materialistica, a cui nemmeno è estraneo il mondo cristiano cosiddetto " modernista", ossessionato dal sentimento della 'rimozione delle frontiere' e dell'accoglienza/inclusione, nello spazio occupato dalla propria comunità di sangue e di vita storica, di altre comunità.
L'Amministrazione euro-occidentale ha oramai deciso di porre fine all'esistenza delle nostre identità culturali, ha deciso che nel futuro non debbano più esistere culture etniche, ovvero culture dei popoli.

Al posto di questa essa sta costruendo un allevamento di individui 'a disposizione', flessibili, esterni a qualsiasi perimetro etnico, estranei al circuito di qualsiasi appartenenza, atomi di una umanità disaggregata.

Per alcuni si sarà finalmente realizzato quel proletariato internazionale il cui avvento viene profetizzato nei testi sacri del marxismo.

Per altri non sarà poi cambiato molto, visto lo stato di alienazione in cui trascorrono la propria esistenza.

Per il 'centro' finanziario internazionale, infine, saranno risolti i problemi di squilibrio dei mercati locali e, sopra tutto, si sarà delineata l'oligarchia mondiale, con le sue regole di conservazione.

In una sorta di rinnovato determinismo storico l'omologazione etnica viene imposta come l'unica via da percorrere.
http://www.valianti.it/cgi-bin/bp.pl?pagina=mostra&articolo=1447

Lucia

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